Orazio Capezzone De Joannon:
Io abitavo a Piedimonte Alta con la mia famiglia, lungo la strada che portava alla chiesa madre[1]. Nel mese di luglio del 1943 fu bombardato il campo d’Aquino, io con i miei familiari ce ne siamo scappati in un posto sotto Piedimonte chiamato “Fontana stella”, lì c’erano dei fossi e piccole grotti, mio nonno, invece quando cominciarono a sparare se né scappò da solo andando a rifugiarsi in un posto detto “La cabina” perché in quel posto c’era una cabina. Ricordo che noi ci mettemmo a guardare per tutto il periodo del bombardamento del campo d’Aquino; era buio, però ci si vedeva come se fosse giorno a causa dei traccianti (razzi) che lanciavano gli aerei.
Un giorno mio nonno Domenico Antonio Pecchia fu colpito da una scheggia e dopo poco tempo morì.
Quel giorno nella zona di “Pittoni” ci furono diversi morti a seguito del bombardamento, mi ricordo che queste persone morte le portavano sopra un camion senza nemmeno essere coperte da un lenzuolo.
Diverso tempo dopo il bombardamento del campo d’Aquino, un giorno arrivarono i militari tedeschi della SS, quelli che portavano quei medaglioni, presero noi e tanta altra gente per sfollarci, alcune persone se ne sono scappate verso la montagna, verso “Frezza”. Fummo caricati sui camion e ci portarono alla stazione di Alatri, là dove c’è la strada che porta a Fiuggi e per gli Altipiani di Arcinazzo.
Quando ci presero a Piedimonte, mio padre Alfredo riuscì a scappare, invece io e gli altri miei familiari fummo condotti ad Alatri, dove ci scaricarono in mezzo alla strada e ci abbandonarono senza nessun motivo.
Il viaggio da Piedimonte ad Alatri, fu molto tranquillo non ci furono bombardamenti e con noi c’era anche un prete che si chiamava Don Emilio (zio di Silvia Di Nallo). Ad Alatri non abbiamo avuto nessun tipo di accoglienza o assistenza ed ognuno di noi se n’è andato per conto suo; per mangiare ci arrangiavamo alla meglio, chi aveva qualche soldo comprava qualcosa in quelle botteghe che stavano là; molti di noi andavano a chiedere qualcosa da mangiare al convento che stava al di sopra della stazione.
Dopo qualche giorno di permanenza ad Alatri, io ed i miei famigliari abbiamo preso il trenino e siamo andati a Roma a casa dei miei zii, qui siamo rimasti per circa un mese, più o meno. Dopo, da Roma sempre con il trenino siamo tornati indietro ad Alatri e poi da Alatri a Piedimonte ci siamo incamminati a piedi passando per le montagne.
Poi ricordo che era un periodo invernale del 1944, faceva freddo, ci siamo rifugiati nella località “Bartali” in comune di Colle San Magno; qui venne anche il prete Don Emilio con la sua famiglia, la signora Silvia Di Nallo con il padre Francesco che a me mi aveva battezzato. In questa località c’era anche la famiglia di Costanzo Mattia, la famiglia di Pasquale Abbate ed altre, eravamo in tanti.
Quando stavamo sopra i “Bartali”, alloggiavamo in una casa di proprietà dei parenti di Silvia Di Nallo, per mangiare ci arrangiavamo, per il cambio dei vestiti si bolliva l’acqua in alcuni recipienti e poi ci si mettevano dentro i panni, così si vedevano camminare dei grossi pidocchi; anche addosso alle persone erano di colorito bianco.
Dai “Bartali” scendemmo a Piedimonte per prendere qualcosa da mangiare, qui era piano di soldati tedeschi, poco dopo da qui siamo dovuti andare via a causa dei frequenti bombardamenti.
Io con la mia famiglia siamo partiti a piedi passando per Santopadre, siamo arrivati ad Arpino. Dopo qualche tempo da Arpino, sempre a piedi, siamo tornati a Piedimonte, prima era pieno di soldati tedeschi, poi al ritorno non c’è n’era più nessuno e si cominciavano a vedere altri soldati, credo che fossero americani. Mio padre Alfredo fu preso dagli americani e portato a Caserta, lì fu nominato capo della cucina, ci aspettava, vedendo che non arrivavamo tornò a Piedimonte. Un mio zio, il fratello di mio nonno che si chiamava Ferdinando Capezzone non si è mai spostato da Piedimonte, ha trascorso tutto il periodo della guerra in paese, perché si era rifugiato nelle cantine sottostanti lacasa, che non erano state distrutte dalle bombe. A Piedimonte gli americani tenevano la cucina presso la casa di don Rocco Mastrangeli, a ridosso della futura stazione di Piedimonte, noi andavamo lì e ci davano da mangiare.
Quando è passato il fronte, Piedimonte era completamente distrutta, non c’era niente ogni tanto si trovava qualche cadavere a cielo aperto.
Noi da Piedimonte Alta dove abitavamo ci trasferimmo presso la casa dei Pecchia, di proprietàdi mia madre, che si trovava subito dopo la ferrovia, era difficile vivere, per l’acqua c’era il pozzo, per mangiare, siccome nei campi erano state seminate delle fave, le andavamo a raccogliere e le cucinavamo.
Tante cose per mangiare ce le davano gli americani, noi dopo circa un anno aprimmo una piccola bottega, sempre nella casa dei Pecchia, e siccome si dovevano distribuire gli alimenti alla popolazione, noi facevamo proprio questo e quindi il mangiare non mancava più, queste cose da distribuire alla gente venivano dall’America, farina, olio, vestiti, sale ecc.. La mia famiglia, in un certo senso non ha subito lo sfollamento, perché siamo riusciti astare a Piedimonte, però tante altre famiglie sono state sfollate chi al nord chi al sud, Calabri, Sicilia, Basilicata.
[1] Orazio Capezzone De Joannon, nato a Piedimonte S. G. il 16/02/1931