Maria Grazia Di Vizio Maria
Io al tempo della guerra tenevo otto anni e tante cose non le ricordo, la prima sera abbiamo visto gli aerei bombardare il campo d’aviazione, noi stavamo tutti sull’aia a guardare; mio padre esclamava uno, due, tre, quattro, cinque, ecc. e subito dopo si sentiva il rumore delle bombe[1]. Così ci siamo spaventati e siamo scappati in mezzo alla campagna e ci siamo rifugiati sotto una piante di “suscell” (carrube), c’era mio zio Antonio Marchetti che diceva mettiamoci qua sotto così non ci vedono, il cielo era tutto illuminato, questo bombardamento fu di notte, era periodo estivo perché noi eravamo fuori.
Quando sentimmo tutto quel rumore, mio padre Vincenzino disse “scappiamo se no ci vedono”, così andammo in mezzo al bosco che stava poco lontano da casa; io ero scalza perché non feci in tempo a mettere le scarpe. Salendo per il bosco arrivammo sopra a Sant’Amasio dove c’era una grotta, questa era piena di gente; così riscendemmo verso Via Sadella dove c’erano altre grotte e ci rifugiammo lì, però non stavamo bene, salimmo un altro poco e trovammo la grotta “Ciarita”.
Nella grotta “Ciarita” c’erano tantissime persone, erano tutte di Piedimonte, in questa grotta siamo rimasti per due, tre giorni. Io e mio sorella Elena andavamo a prendere l’acqua ad un pozzo di Cavacece che stava più sotto della grotta “Ciarita”. Un giorno mentre stavamo prendendo l’acqua arrivarono degli aerei che cominciarono a bombardare, mia madre da sopra la grotta “Ciarita” chiamava “Elena, Elena, oddio che adesso le uccidono”, però io e mia sorella ci nascondemmo dietro una roccia e dopo rispondemmo a nostra madre, che fu molto contenta, però l’acqua sopra non la portammo.
Noi di famiglia eravamo sette persone, mia madre aveva fatto il pane che ce lo portavamo dietro, così partimmo e andammo a casa di Rosina Spiridigliozzi (a Parito), qui non trovammo nessuno, così ripartimmo e tornammo alla grotta “Ciarita”, però qua il posto per noi non c’era più perché era arrivata altra gente, così riscendemmo un po’ più sotto e ci fermammo per un bel po’ di tempo. Ricordo, che nella grotta “Ciarita” nacquero due gemelli alla signora Gloria Di Murro.
Un giorno mio padre disse “andiamo via da qua”, così partimmo tuti e sette noi, per viottoli di montagna ed arrivammo a Roccasecca, ci sistemammo in una casa diroccata; a Roccasecca c’erano i Tedeschi, mio padre mise a cuocere delle patate, a un certo punto arrivò un tedesco e spense il fuoco perché disse che gli Americani potevano vedere il fumo, le patate le mangiammo mezze cotte e mezze crude.
Mentre andavamo a Roccasecca per la montagna incontrammo due tedeschi, mio padre subito disse “o mio Dio questi adesso ci uccidono”, così passammo e salutammo dicendo buongiorno, loro risposero buongiorno, non ci dissero nulla.
Arrivati a Roccasecca un tedesco mi prese come un sacco sotto il braccio, e mi fece attraversare il fiume Melfa, qui trovammo il rancio, un posto dove distribuivano il mangiare per la gente; stavano servendo della pasta americana, del pane molto bianco, io per quanta pasta mangiai mi venne l’indigestione, mi venne anche la febbre.
Ricordo poche cose quando andammo a “Forca Cerasa”, non ricordo bene come ci siamo arrivati, c’era zio Antonio Marchetti con la sua famiglia, qui ci fu una sparatoria fatta dai Tedeschi, c’erano le case di alcuni amici di mio zio Francesco Di Murro e ci sistemammo lì, a me mi mettevano per terra e dicevano che avevo il tifo, così i Tedeschi scappavano. Quando i Tedeschi entravano in casa, con un bastone in mano andavano a rovistare dappertutto, ci facevano rigirare, ci vedevano molto magri e dicevano: tifo, tifo, così scappavano subito. Gli uomini se ne andavano in mezzo al bosco, perché avevano paura di essere presi dai tedeschi, fuori all’aperto c’erano solo donne.
Da “Forca Cerasa” sempre per viottoli di montagna, per andare verso Roccasecca, ricordo che incontrammo alcuni Tedeschi, ad un certo punto cominciarono a sparare e mia sorella Elena fu ferita ad un piede da una scheggia, zio Antonio Marchetti esclamava: “alleati, siamo italiani”, intanto mia sorella piangeva che la gamba gli faceva molto male.
Ricordo, vagamente che a Roccasecca ci presero, ci caricarono sopra un camion e ci portarono ad un paese chiamato “santmetrcorana” (San Demetrio Corone), io lì mi sono ammalata e mi portarono all’ospedale di Cosenza.
C’era un signore di Piedimonte che si chiamava Gioacchino Tomassi, mi venne a dire che mio padre se ne sarebbe andato, invece “tu rimani qua”, una signora anziana mi diceva avviati a piedi e vai dov’è la tua famiglia. Un giorno vidi arrivare mio padre all’ospedale, mi fece fare i raggi, era venuto a prendermi, io fui molto contenta, prima pensavo che mi ero persa, così mi misi sottobraccio a papà e uscimmo fuori dove c’era il sole, io non ci vedevo, e così papà mi riportò a San Demetrio Corone.
Poi da San Demetrio Corone siamo andati a Pisticci, con che cosa siamo andati non lo ricordo, ricordo però che a San Demetrio Corone mia madre andò a cogliere dei fichi da un albero, fu presa a botte dalla gente del posto, qui la gente era molto cattiva. Quando arrivammo a Pisticci ci fecero lavare, ci ripulirono un po’, e poi ci hanno dato dei vestiti e delle scarpe. Qui non facevano niente, non lavoravamo, ci davano tutto, da mangiare e da bere, il pane lo davano con la tessera.
Quando tornammo a Piedimonte andammo ad abitare “alla mazzatora” Via Selvidieri, papà tutti i giorni tornava alla “Varricella” a casa nostra; da Pisticci si era portato dietro un affare per fare i coppi (canali), andavamo a prendere l’argilla dalla parte delle “Morelle” e sopra al “Pisciarello” una zona chiamata così perché ci scorreva l’acqua.
Dopo che mio padre fece i coppi, per la copertura della casa dove dovevamo tornare, finito il lavoro di copertura, venne a piovere ed i coppi si spaccarono tutti, così dovemmo rimanere “alla mazzatora” Via Selvidieri. Dopo questo episodio, mio padre risistemò la casa alla meglio e ce ne tornammo alla “Varricella”.
[1] Maria Grazia Di Vizio Maria, nata a Piedimonte San Germano il 01/06/1936