Giuseppe Massaro: ” Dopo l’ 8 settembre 1943, sembrava che i tedeschi fossero diventati i padroni di tutto e di tutti”

Era il periodo di luglio, faceva caldo, quando fu bombardato il campo d’Aquino, una volta di notte ed un’altra volta di giorno; io con la mia famiglia ero andato ad abitare in una casa che si trovava nella zona detta “La Canalera” nei pressi di Viale Regina Margherita di oggi. Un giorno eravamo a casa io e mio fratello Giovanni , che era di cinque, sei anni più grande di me, dato che faceva caldo ci eravamo messi a dormire fuori sopra un po’ di paglia, ad un certo punto si è svegliato mio fratello con un sobbalzo, mi ha preso, però era di notte ma sembrava giorno; noi vedevamo le nostre pecore che stavano in un recinto come se le avessimo vicino, era tutto illuminato.
Mio padre che era stato con gli amici, ed aveva bevuto un po’, arrivato a casa si era messo a dormire vicino ad una “meta” (un mucchio di fieno); quando vide tutta quella luce, ha fatto un salto ed è corso sopra casa dove ci stava mia mamma con le mie sorelle ed i fratelli più piccoli. Intanto, io e mio fratello ce ne scappammo, nel frattempo vedemmo una fila di militari Tedeschi, dove ora ci sono le case FIAT, lì c’era un accampamento tedesco; questi si andarono a rifugiare sotto la costa, vicino la casa di Pietro Aceti, in questo posto ci avevano fatto “la calcara”, un tempo ci faceva la calce; infatti i Tedeschi si ripararono qui dove c’era un avvallamento tipo fosso, così anche io e mio fratello Giovanni ci riparammo insieme ai Tedeschi. Nell’accampamento tedesco ci stava un ragazzo biondo che si chiamava Karl, io lo conoscevo perché veniva sempre a casa a prendere le uova e mia mamma non se le faceva pagare; mio padre gli chiese che cosa stava succedendo, questo Karl rispose sono prove; in realtà era il primo bombardamento del campo d’Aquino del 19 luglio 1943. A distanza di qualche giorno ci fu il secondo bombardamento di giorno, io non lo ricordo, so solo che dicevano che nella zona detta “Pittun” morirono diverse persone.
Dopo il secondo bombardamento del campo d’Aquino la gente del posto si era cominciata a spaventare seriamente. Nel frattempo arrivò l’8 settembre 1943, io con la famiglia eravamo rimasti ad abitare in quella casa della “Canalera”, dove tenevamo gli animali, lì il pozzo per l’acqua non c’era e dovevamo andare a prenderla al “puzz prmont” (pozzo Piedimonte), era un grosso pozzo comunale che si trovava nei pressi di Viale dei mille, lì io ci portavo a bere gli animali che tenevamo a casa. Molte volte, quando portavo gli animali a bere a questo pozzo, ci trovavo sempre qualche tedesco che stava lavando i panni, io per scherzo gli stappavo la pila e gli facevo uscire tutta l’acqua, però vedendomi ragazzo non mi dicevano nulla. Quando è arrivato l’8 settembre, io non sapevo assolutamente che cosa fosse, in quel periodo avevo 13 anni e tante cose non si capivano, non sapevo che l’8 settembre era stato firmato l’armistizio con gli alleati. Così un giorno andai al pozzo Piedimonte per far bere le vacche, trovai un tedesco che stava lavando i panni, cosi mentre gli animali bevevano, feci la stessa cosa di quattro, cinque giorni prima e stappai la pila piena d’acqua al tedesco che stava lavando; questo cominciò a tirarmi calci e malmenarmi, allora pensai che fosse diventato pazzo, non riuscii a capire che cosa gli fosse successo, perché prima non diceva assolutamente nulla.
Allora quando sono tornato a casa ho raccontato tutto a mio padre e lui mi rispose: noi da amici dei Tedeschi siamo diventati nemici, ecco perché ti ha gonfiato di calci, mio padre aveva capito cosa era successo per via dell’armistizio. In questo periodo a casa non ci potevamo stare più, perché dopo l’8 settembre 1943, sembrava che i Tedeschi fossero diventati i padroni di tutto e di tutti; c’era un giovane soldato tedesco che veniva a casa, mio padre spesso si consultava con lui, infatti diceva: qua non ci si può stare più, da un giorno all’altro bisogna andare tutti via. Mio padre gli rispose che non si poteva spostare perché teneva gli animali pecore, vacche, ecc., questo soldato tedesco che si chiamava Karl diceva: io ti mando un camion, caricare tutto ed andare alla campagna romana, infatti lui sapeva che cosa stava per accadere.
Dopo qualche giorno, abbandonammo la casa dove abitavamo e andammo dietro il cimitero di Piedimonte Alta, ci portammo dietro 4 vacche, i maiali, le pecore ed altre cose, vennero i Tedeschi e ci presero tutti i maiali, erano i primi che prendevano; poi un altro giorno ci presero tutte le pecore e ci rimasero solo 4 vacche che le portavo a pascolare sul Colle Santa Maria. Un giorno vennero i Tedeschi ci presero pure le vacche, le portarono al campo d’Aquino dove avevano radunato tutti gli animali che stavano a “Forca Cerasa”; al campo d’Aquino c’erano migliaia di capi di bestiame, guardando da lontano si vedeva un mare bianco. Così noi ci spostammo un po’ più sopra, dove abitavano Pio Mulattieri e “Pittozza”, qui c’erano i miei nonni anziani che rimasero lì finché non finì la guerra, c’erano anche altre famiglie accampate. Col passar del tempo, da settembre 1943 che ci eravamo fermati in questo posto, arrivammo al mese di dicembre 1943, il periodo di Natale; però non stavamo bene nemmeno qua, perché i Tedeschi venivano in continuazione e dicevano che in quel posto non ci doveva stare più nessuno. Un giorno sono arrivati i camion dei Tedeschi in piazza San Nicola a Piedimonte; in quel posto dietro al cimitero dove stavano noi era arrivata anche la famiglia di Gennarino Fuoco, si era sparsa la voce dell’arrivo dei Tedeschi, così i Fuoco dissero scappiamo dietro la montagna, ci avviammo con loro; intanto mio padre con mio fratello Giovanni scapparono per la montagna, io con mia madre le mie sorelle ed i miei fratelli più piccoli salivamo verso la montagna.
Nel frattempo, i Tedeschi da piazza San Nicola ci videro con il cannocchiale, eravamo circa 10 – 12 persone, ad un certo punto abbiamo sentito gridare i Tedeschi: raus!, raus!, raus!, ci avevano raggiunti; Gennarino Fuoco disse: noi credevamo di essere furbi ma questi ci hanno visto dalla piazza. Io era un po’ di tempo che avevo il tifo, ero diventato magrissimo, un figlio di Gennarino Fuoco andava a scuola e conosceva il francese, siccome tutti i Tedeschi parlavano il francese, disse ad un tedesco: c’è questa signora (mia madre) con questo ragazzo malato come fa; il tedesco rispose quando è andata in salita lo ha portato, adesso se non ce la fa, lo porto io. Così piano, piano ci fecero scendere tutti fino a pizza San Nicola, in piazza ci hanno caricato sopra i camion, era verso sera, e ci portarono sulla Casilina (tra Via Napoli e Via Casilina, c’era una casa di una certa zia Caterina) lì c’era un centro di smistamento, infatti chiamavano una famiglia di cinque persone entrano in questo camion e facevano salire. Noi eravamo sei, quando ci chiamarono ci fecero salire su un camion che stavamo come le sarde, il camion partì, noi ci chiedevamo chissà dove ci portano, non sapevamo assolutamente niente della nostra destinazione. Verso la mezzanotte siamo arrivati ad Alatri, ci scaricarono alla piazza del paese era in piena notte, faceva freddo, con noi c’erano altre famiglie, quella di Michele Aceti, quella di Gennarino Fuoco, c’era anche zia Angelatonia madre di Pasquale e Rocco Mastronicola; poi qualcuno del comune ci accolse in una stanza, dove sotto ci scorreva l’acqua, stavamo tutti insieme, intanto pensavamo sempre che non potevamo stare là.
Ad Alatri, il personale del comune ci dava delle cose da mangiare due volte al giorno, non tenevamo assolutamente niente; il giorno mia madre andava a racimolare qualcosa per mangiare, un po’ di verdura per i campi, perché noi eravamo cinque figli da sfamare. Nel paese di Alatri rimanemmo per diverso tempo, un bel giorno Gennarino Fuoco disse a mia madre: Annuccia (Anna) mi dispiace però noi ce andiamo da qua, andiamo verso Roma non torniamo a Piedimonte, tu è giusto che torni a Piedimonte perché devi ritrovare tuo marito Antonio. Così, dopo qualche giorno ci siamo avviati a piedi, a piedi, insieme alla famigli di Michele Aceti e zia Angelantonia per tornare a Piedimonte; lungo la strada trovavamo sempre qualcuno che ci faceva dormire in qualche posto. Non ricordo bene se fosse ad Arce o Rocca d’Arce ci accolse una famiglia in una stanza che avevano sistemato con della paglia a terra per dormire; nel frattempo prepararono anche da mangiare, fecero due grosse tavole di polenta, noi che avevamo molta fame, mangiammo tutto e tanto; infatti dopo ci siamo messi a dormire fino a tarda mattina, credo che fosse il periodo di gennaio 1944, faceva molto freddo. La mattina successiva riprendemmo il cammino, percorrendo dei viottoli di montagna ed arrivammo a Colle San Magno, da qui andammo a “Frezza” dove abbiamo ritrovato mio padre ed i miei fratelli, tutti insieme siamo scesi al di sotto della chiesa di Sant’Amasio, in una grotta dove sopra c’è la casa e sotto la grotta (esiste ancora oggi), di proprietà di un certo Magno Di Vetta, qui c’erano: la sorella sposata di mia madre, i miei nonni paterni ed altre persone.
Un giorno in questa grotta si rifugiò una famiglia di tre persone, marito, moglie ed una figlia, erano impiegati che stavano all’aeroporto di Aquino, questi dissero che i Tedeschi parlavano tutti francese, ecco perché io seppi questa cosa. Un pochino più in giù, da dove stavamo noi, c’era un’altra grotta detta “Culnniegl” dove c’era anche il prete di Piedimonte con la sua famiglia, Don Gaetano Di Paolo originario di Alvito, anche qua c’erano diverse persone. Dopo qualche giorno che stavamo in questa grotta, cominciarono ad arrivare i Tedeschi,infatti più avanti non per la stradina di Sant’Amasio, ma continuando la strada verso il fossato, c’era una grotta chiamata “Carlacit”, lì dentro c’erano solo due Tedeschi che tenevano il telefono; siccome i Tedeschi il quel periodo andavano reclutando gli uomini per portali a lavorare, uno di questi Tedeschi disse a mio fratello Giovanni ed a un certo zio Pasquale, che se gli portavano l’acqua, gli avrebbero fatto un lasciapassare che lavoravano per loro e nessuno gli avrebbe potuto dire nulla, così mio fratello e questo zio Pasquale tutti i giorni portavano l’acqua ai Tedeschi che stavano nella grotta. Un giorno arrivò un tedesco, cercava uomini per lavorare, zio Pasquale gli fece vedere la carta che gli avevano fatto i Tedeschi che tenevano il telefono nella grotta; questo non voleva sapere nulla e lo voleva portare via, così zio Pasquale gli disse vai a parlare con loro, questo andò ed ad un certo punto cominciarono a litigare di brutto, però poi andò via e mio fratello Giovanni e zio Pasquale si salvarono dalla cattura.
Credo che era il mese di marzo o aprile del 1944, quando ci fu lo sbarco a Nettuno, non ricordo bene, una notte venne uno dei due Tedeschiche avevano il telefono nella grotta dove eravamo noi, ci venne a salutare era con le lacrime agli occhi, disse che aveva ricevuto ordini e doveva andare a Nettuno. Con questi tedeschi c’era molta confidenza, noi andavano tutti i giorni da questi due Tedeschi perché ci davano sempre qualcosa, infatti tagliavano una fetta di pane nero ci spalmavano la marmellata e ce la facevano mangiare; uno di questi diceva che aveva due figli più o meno della mia età. Questi Tedeschi da tempo dicevano che in quel posto dove eravamo era diventato pericoloso, non ci si poteva stare più, infatti c’erano continui bombardamenti degli apparecchi, spesso erano a catena e duravano tutto il giorno. Nella zona della chiesetta di San Rocco, i Tedeschi avevano una postazione con due cannoni, gli tiravano fuori verso la sera, il giorno gli tenevano nascosti nel fossato, uno di questi cannoni era un obice che sparava per 10 – 15 minuti e poi lo riportavano nel fossato, così tutti i giorni era un continuo bombardamento. Infatti il tedesco del telefono che quella notte ci venne ad avvisare che quel posto era diventato pericoloso, sapeva benissimo che ogni giorno che passava l’esercito angloamericano si avvicinava a quello tedesco, quindi tutta la zona era martellata di bombe da entrambi gli eserciti. Una notte decidemmo di andare via dalla grotta dove stavamo, prendemmo quelle poche cose che avevamo e ci avviammo per viottoli di montagna dove non si incontravano Tedeschi, cammina e cammina arrivammo a Santopadre. Lì rimanemmo poco tempo, intanto una famiglia del posto ci fece sistemare alla meglio e nel frattempo si era sparsa la voce che al ponte La Valle erano arrivati gli Inglesi con i camper, quello era il ponte sul fiume Melfa che i Tedeschi avevano fatto saltare. Così decidemmo di tornare a Piedimonte, prendemmo sempre quelle poche cose che tenevamo e partimmo, c’erano tantissime altre famiglie che si avviarono per tornare indietro, eravamo tantissime persone. Mentre noi scendevamo da Santopdre, alcuni soldati Tedeschi risalivano, quando arrivammo al ponte sul Melfa che era stato distrutto, a terra vedemmo tante persone morte, non si poteva nemmeno passare, ci volle molto tempo per attraversare il fiume dato che il ponte non c’era più ed ogni persona chiedeva aiuto. Così attraversato il fiume Melfa, arrivammo al cimitero di Roccasecca, si era fatta sera, quasi buio, nel frattempo incontrammo alcuni Ufficiali militari, crede che erano Polacchi, questi parlavano in italiano; ci avvertirono che c’erano delle truppe di colore che potevano essere pericolose, noi non sapevamo chi fossero. Un Ufficiale prima disse io vi consiglio, subito dopo un altro disse vi obbligo a fermarvi qui questa notte non potete proseguire, così ci fecero fermare a tutti, eravamo tantissimi, quella notte nessuno ha dormito nemmeno gli Ufficiali polacchi.
La mattina successiva, di buon ora, ripartimmo verso Piedimonte ed a un certo punto incontrammo veramente dei soldati di colore, questi portavano un affare in testa, erano Indiani, Pakistani, Neozelandesi, quando ci videro esclamavano: avanti, avanti guerra finita. Arrivati a Piedimonte, non si poteva camminare, non c’era un piccolo spazio libero, c’erano centinaia e centinaia di soldati, civili, i mezzi militari non si contavano, Ufficiali non si vedeva il terreno. Noi siamo andati subito alla ricerca dei nonni paterni, che erano rimasti in una casa dietro al cimitero di Piedimonte Alta. Con i miei nonni, c’era anche zio Giuseppe Di Mambro, ci raccontò che dalla montagna di Terelle erano scesi i Polacchi, dice che si sentiva un trambusto di cammino con gli stivali, loro uscirono fuori di casa e si trovarono di fronte i soldati Polacchi, che hanno chiesto dove erano i Tedeschi, zio Giuseppe Di Mambro gli rispose che lo sapeva e allora chiesero di essere accompagnati dove stavano i Tedeschi. A Piedimonte nei pressi dell’attuale casa di Antonio Mazzaroppi, c’erano 9 Tedeschi alloggiati in una abitazione, questi sapendo che erano arrivati gli angloamericani, si fecero trovare tutti disarmati mentre mangiavano.
I Polacchi alla vista dei Tedeschi, ci si misero a parlare, poi gli fecero uscire fuori e gli fucilarono tutti. Piedimonte era completamente distrutta, era rasa al suolo, era rimasto un cumulo di macerie, persino il cimitero era stato bombardato; in giro si vedevano solo delle squadre di soccorso che raccoglievano i morti per seppellirli. Quando è arrivato il fronte a Piedimonte, tutta la zona era piena, piena di militari, era difficile addirittura attraversare la Via Casilina, perché c’era un continuo passaggio di mezzi militari, autovetture, camion; quando gli si faceva un segno qualcuno bravo si fermava e faceva attraversare. Parallelamente alla Casilina, era stata costruita una strada sterrata per il passaggio dei mezzi pesanti, carri armati e vari mezzi militari, questa era stata bonificata dai reperti bellici e ci passava anche la condotta di benzina. Sul finire della guerra, io con la mia famiglia, ero andato ad abitare presso la casa del Notaio Angelo Cerasi, che si trovava vicino la Via Casilina, questa casa era rimasta indenne dai bombardamenti. Essendo una casa abbastanza grande, insieme a noi, ci fu portata la sede della stazione dei carabinieri, mio padre si era tanto raccomandato con i Carabinieri per il fatto che a Piedimonte non ci poteva stare più nessuno, infatti tutta la popolazione era stata sfollata, noi però rimanemmo a Piedimonte, nessuno ci disse nulla.
Nato a Piedimonte San Germano il 19/11/1930