Piedimonte, Passo Corno, Monte Cairo
Volando, col tenente Harris, verso Monte Cairo vedevo del fumo. Sotto la cortina dei fumogeni, i tedeschi stavano abbandonando nel settore centrale del fronte il monte più alto: un ottimo osservatorio che rendeva possibile di dirigere il fuoco verso le posizioni già conquistate dagli alleati e, nello stesso tempo, costituiva l’ultima posizione-chiave del bastione della difesa tedesca. La tensione della lotta dopo la conquista di Cassino non si era allentata neppure per un istante. La «linea Gustav» era caduta, ma rimaneva ancora la «linea Hitler» con le sue posizioni più forti, fra le quali Piedimonte.
Questa città è divenuta una piazzaforte terribilmente munita: la più moderna possibile. Un «pill-box» dopo l’altro: ogni casa, ogni cantina, ogni stalla è stat a sfruttata. Dal 19 maggio al 25 maggio si combatte una lotta ardua, accanita. Attacchi, contrattacchi, ancora attacchi; i carri armati dei Figli di Leopoli e le fanterie della «Kresowa» premono incessantemente sulle posizioni tedesche.
Gli «Sherman» si aprono la strada, superando continuamente aspre difficoltà: portano i genieri e difendono con fuoco il lavoro incessante che questi compiono. Trasportano le munizioni sul posto, combattono, saltano in aria per le mine e per i proiettili anticarro, ma vanno sempre avanti; malgrado le gravi perdite, avanzano lentamente senza piegarsi. Viene un momento nel corso della battaglia, nel quale sembra che non si possa più proseguire; il fuoco incrociato dei cannoni anticarro è troppo forte; i gruppi dei «bunker» sono troppo fitti. Il comandante dello squadrone, il capitano M., sfinito dallo sforzo, invia un messaggio al colonnello B., capo delle forze attaccanti: «Signor colonnello, è impossibile andare più avanti»; la risposta arriva immediatamente . «Non ammetto la parola “impossibile”; vi ordino di forzare le linee nemiche».
«Signor colonnello», dice il capitano, al colmo della disperazione, con voce snervante e tremante, «con un attacco di cavalleria non conquisteremo la piazzaforte».
«Vi ordino di forzare, capito?» Ripete il colonnello, staccando le parole l’una dall’altra. Il capitano ferma i suoi carri armati; poi parla ai propri uomini, attraverso la radio:«Mi occorrono tre uomini dello squadrone, coraggiosi e decisi a tutto».
Si presentano in dieci: il capitano va avanti, con tre scelti fra di essi, portando dei mazzi di granate; da solo distrugge il primo dei bunker; successivamente i suoi uomini sistemano quelli che rimangono; ora i carri armati possono proseguire. Il colonnello aveva ragione: per noi, la parola «impossibile» non esiste.
La lotta per Piedimonte non si può descrivere; ogni metro ha la sua leggenda, ogni casa ha la sua storia. Il maggiore Tarkowski, i capitani Esman e Pilecki, i sotto-tenenti Kwit e Kalucki sono i comandanti che, come tutti gli altri ufficiali nelle campagne italiane, hanno avanzato per primi e per primi sono caduti. Nella notte tra il 24 ed il maggio, quando i carri armati avevano ormai spianato la via alla fanteria, «Lupi» e «Linci» si impadronirono della città. A Piedimonte furono trovate solo macerie, cadaveri di uomini e carogne di animali sparsi per terra, casette di munizioni abbandonate: la linea Hitler era stata infranta nel suo punto più resistente.
I battaglioni della «Kresowa», attraversata la città, cominciarono ad inerpicarsi per Passo Corno sul Monte Cairo. La lotta, che durante sei giorni si svolse sulle pendici di Passo Corno e sulle alture del monte non fu meno accanita e sanguinosa. Le pareti a picco, ogni tanto interrotte da ripiani di rocce, il fuoco tormentoso delle artiglierie e quello secco dei mortai:ecco ciò che i reggimenti appiedati dalla cavalleria di Poznan e dei Carpazi dovevano vincere.
L’attacco venne sferrato il 19 maggio, alle ore 13.30, si dovevano superare 800 metri di dislivello in uno spazio di cinque chilometri ed attaccare alcune alture per giungere alle pendici di Monte Cairo. Due ore dopo l’inizio dell’attacco viene occupato il primo punto di resistenza nemica, a quota 893. Lo si attraversa e ci si dirige verso quota 912 che viene presa di notte. Il contrattacco tedesco, rabbioso, non raggiunge alcun fine utile: il nemico lascia sul terreno morti, feriti, e prigionieri. Il 21 i nostri marciano verso quota 945: dopo sei ore di lotte sanguinose tutti i bunker tedeschi vengono conquistati l’uno dopo l’altro. Si comincia l’arrampicata su Monte Cairo: ai tedeschi non viene lasciato un momento di tregua. Non devono avere il tempo di minare il terreno, né di preparare e predisporre le difese. Quando, dopo la caduta di Piedimonte, i «Lupi» e le «Linci» si congiunsero agli ulani, i tedeschi, prevedendo l’attacco decisivo e finale, cominciarono ad evacuare Monte Cairo, e, spinti, com’erano dalla fretta, lasciarono bunker non ancora finiti di costruire, armi, granate, trappole improvvisate con ben poca abilità. Nelle prime ore del mattino del 25 maggio il tenente H. comandante degli ulani di Poznan ha l’onore di piantare sulla vetta del monte la bandiera bianco-rossa.
Monte Cairo, la posizione più alta (m.1669) dominante l’intero settore del fronte centrale, è ora in mani polacche. L’ultimo bastione della difesa tedesca è stato infranto: la via verso il nord, verso Roma, è libera.
Gli eserciti polacchi, però, non proseguono oltre: il loro compito è stato eseguito e anche superato. Le perdite sono state minori del previsto, minori perfino di quelle causate in Russia dalla epidemia di tifo. Solo che quel sangue venne versato inutilmente, mentre quello versato a Cassino, a Monte Cairo non potrà essere dimenticato da nessuno dei signori politici che, a guerra finita, sederanno al tavolo verde per la conferenza della pace.
Il benemerito Corpo Polacco avrà un riposo di tre settimane e poi farà ritorno al combattimento, nel settore adriatico. A Roma entreranno soprattutto reparti americani e con loro anche reparti britannici, polacchi e francesi: cioè gli eserciti di quegli Stati che, forzando le invincibili linee «Gustav» ed «Hitler», hanno aperto la strada alla liberazione della prima capitale europea, la capitale di tutto il mondo cattolico: Roma, la città Eterna.