Antonia Marchetti: “Una notte, erano le due del mattino ci caricarono tutti sui camion, formarono una lunga autocolonna e ci portarono a Venafro”
Io abitavo alla “Varricella” con la mia famiglia, spesso da noi passavano i soldati che facevano servizio al campo d’Aquino, andavano in libera uscita al centro del paese a Piedimonte Alta[1].
Ricordo che era la sera del 19 luglio 1943, a noi ci avevano detto che questa sera vengono a fare le prove al campo d’aviazione, altro che prove, ad un certo punto cominciarono a bombardare il campo d’Aquino, era notte, però fuori era tutto illuminato, ci si vedeva come se fosse giorno a causa del lancio dei razzi; noi da casa nostra vedevamo tutto, così spaventati scappammo con i vicini di casa in un bosco che si trovava poco lontano dalle nostre case.
Dopo alcuni giorni, era il 23 luglio 1943, vennero a bombardare di nuovo il campo d’Aquino era di giorno, mi ricordo che vidi un gruppo di apparecchi che venivano da sud, erano tutti americani facevano riflesso con la luce del sole. Questa volta ci spaventammo molto, siamo usciti di casa e ce ne siamo scappati verso la collina sotto al colle Sant’Amasio dove c’erano delle piccole grotti, ci rifugiammo lì dentro.
Verso sera si era saputo che questo bombardamento aveva fatto diverse vittime civili, come Carolina Carcione, Orazio Vittigli, Camilla e Luisa Di Giorgio, Teresa Capraro. Dopo che era finito questo bombardamento tornammo a casa alla “Varricella”, a casa mia c’era mia mamma Maria, i miei fratelli Angelo ed Antonio, mio fratello Antonio Marino era per militare e lo avevano fatto prigioniero, mio padre Raffaele era morto nel 1931 e mia sorella Francesca si era già sposata, comunque ogni tanto arrivavano degli aerei e bombardavano.
Un giorno radunammo tutti gli animali che c’erano rimasti, qualcosa da mangiare, qualche padella e ce ne siamo andati “ncoppa a Pittozza”, in una casa che stava dietro al cimitero di Piedimonte Alta; qui vennero i Tedeschi e ci presero tutte le pecore, ci lasciarono solo una capra ed una scrofa con i maialini. Dopo questo episodio, siamo partiti e ce ne siamo scappati verso la montagna per andare a Frezza alla casa di Cecilia Nota, in questo posto siamo rimasti per un lungo periodo, circa sei mesi, nel frattempo i Tedeschi non si erano più visti.
Ricordo che era il giorno di capodanno del 1944, noi stavano sopra a Frezza, da dove vedevamo giù tanti fuochi d’artificio e sentivamo gli spari dei Tedeschi che stavano festeggiando l’arrivo del nuovo anno.
Poi da Frezza, un giorno siamo partiti per andare a Santopadre, con noi c’era anche zio Antonio Marchetti che aveva il figlio Gioacchino in guerra e diceva sempre che non ce lo facevano vedere mai, erano 4 o 5 anni che non tornava a casa. A Santopadre la gente del posto ci ha fatto alloggiare in alcune stalle degli animali, qui siamo rimasti diversi mesi, per mangiare ci arrangiavamo, qualche Tedesco ci dava un po’ di pane, facevamo la verdura dei campi; il cambio dei panni non lo facevamo i vestiti erano sempre gli stessi, addosso avevamo dei grossi pidocchi e così tiravamo avanti. Da Santopadre ce ne andammo ad Arpino dove siamo rimasti diverso tempo, anche qui era difficile vivere ci dovevamo arrangiare alla meglio per racimolare qualcosa da mangiare.
Un giorno abbiamo saputo che la guerra era finita, ad Arpino si cominciarono a vedere gli Inglesi e gli Americani, i Tedeschi non si vedevano più, così abbiamo preso quelle poche cose che avevamo, io e la mia famiglia con zio Antonio Marchetti il papà di Gioacchino, ci siamo avviati sempre per viottoli di montagna, per tornare a Piedimonte. Mentre tornavamo verso Piedimonte, dopo Santopadre, siamo arrivati ad una casa dove c’era la famiglia di Orazia Marchetti; zio Antonio già si era avviato avanti per tornare, la signora Orazia disse a “Cecchina” (Francesca Marchetti) che si erano comare, “guarda comma che zio Antonio si è già avviato e gli ho fatto bere anche delle uova”, così Cecchina diede ad Orazia 4 soldi per le uova. Proseguendo il cammino dalla casa dove stava Orazia Marchetti, volevamo trovare dov’era Cecilia Nota, cammina e cammina finalmente siamo arrivati dove stava Cecilia, era nei pressi del fiume Melfa, qui abbiamo chiesto di zio Antonio e Cecilia ci ha detto che non lo aveva visto. Allora io con mio fratello Angelo che era un bambino e Cecchina siamo rimasti lì dove era Cecilia Nota; mia zia la moglie di zio Antonio, mia mamma Maria e mio fratello Antonio tornarono indietro a Santopadre per cercare zio Antonio, girarono tutto il paese però non riuscirono a trovarlo.
Così decidemmo di proseguire il cammino verso Roccasecca, arrivammo sul fiume Melfa, c’erano tanti soldati a farsi il bagno e lavarsi, erano americani ed inglesi. Passato questo posto dove c’erano questi soldati, poco dopo più in là, ci presero a tutti, non ricordo se presero anche Cecilia Nota, ci portarono a “Palazzuor” (Castrocielo) dove ci hanno fatto pernottare con tanta altra gente; la mattina ci portarono a piedi e tutti in fila indiana al bivio di Pontecorvo sulla Via Casilina, dopo ci hanno caricato sui camion e ci hanno portato a Pontecorvo in alcune scuole, era il 28 maggio 1944 il giorno di “Pasqua a rosa” (Pentecoste), qui ci hanno trattenuti per tre giorni.
Una notte, erano le due del mattino ci caricarono tutti sui camion, formarono una lunga autocolonna, e ci portarono a Venafro, ci fecero alloggiare al monastero di Santa Chiara. Il viaggio da Pontecorvo a Venafro fu diretto, no facemmo soste, infatti arrivammo la mattina stessa a giorno.
Quando stavamo a Venafro, siccome era il mese di giugno, il giorno andavamo a raccoglier le spighe di grano rimaste nei campi dove c’era stata la mietitura del grano. La gente ci ha ben accolti, ci davano qualche indumento, qualcosa da mangiare e così tiravamo avanti. Siamo rimasti a Venafro per più di un anno, decidemmo di tornare a Piedimonte verso la prima metà del 1945, così ci avviammo a piedi per tornare a Piedimonte, quando siamo arrivati abbiamo alloggiato presso la casa della famiglia Bracco che erano nostri parenti.
Piedimonte era tutta diroccata, anche la nostra casa alla “Varricella”, c’era solo desolazione, le terre erano piene di boscaglia e c’erano tantissime grosse voragini scavate dalle bombe della guerra.
[1] Antonia Marchetti, nata a Piedimonte san Germano il 18/06/1922